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Thiene

Matteo, il paradosso del sacrificio. Il ricordo a 11 anni dalla morte in Afghanistan

Sono trascorsi undici anni da quel giorno maledetto. Quando il thienese Matteo Miotto, aveva appena 24 anni, morì in combattimento nel lontano avamposto di Buji, nella valle del Gulistan, Afghanistan. Matteo, primo caporal maggiore degli alpini, in missione con il contingente italiano, conosceva i rischi del suo mestiere. Conscio di essere in guerra. Ma anche determinato nel suo spirito di servizio. Verso quella gente, quei bambini, che aveva visto soffrire. 
Un sacrificio che al termine di questo tribolato anno 2021, assume scontorni nuovi e ancora una volta induce alla riflessione. Al termine di una missione di pace conclusasi con il rapide addio, se non fuga, dei contingenti militari occidentali dal martoriato Afghanistan. Un motivo in più per chiedersi, oggi, quando alle 10 un trombettiere onorerà con le note del silenzio, la sua tomba, a cos’è servito il sacrificio di Matteo.
Una riflessione che il papà di Matteo, Franco, ha fatto propria. Tracciando una rotta tra gli eventi di vent’anni fa e la cronaca attuale. Scrive sul più noto dei social. «Vedere i barbuti talebani, con spocchiosa arroganza farla da padroni sui blindati americani indossando le mimetiche che Matteo considerava un simbolo, lascia basiti e sconfortati. Foto sconvolgenti, come quella postata, di madri che affidano all’ignoto il proprio figlio oltre un reticolato, hanno l’indisponente capacità di far vacillare ogni tipo di certezza», il cuore del suo ragionamento.
Confida Franco Miotto. «Il tempo è un guaritore lento ma efficace. Pensieri, riflessioni e ricordi assumono contorni più sereni e trovando equilibri più consoni alla realtà permettono di cogliere sfumature che in passato sfuggivano, oscurate dalla ruvidezza imposta dalle circostanze». 
Una nota. «Allora, anche una semplice lattina di birra che gli irriducibili amici di Matteo, da tradizione ormai consolidata, lasciano sulla tomba del ragazzo in occasione del suo compleanno diventa motivo di sana ironia. Una carezza goliardica, una pillola di affetto che fa rima con amicizia e rispetto».
Sono trascorsi undici anni da quel giorno. «Ripenso all’ultima chiamata a mezzo satellitare dall’avamposto in Gulistan. Era il 30 dicembre 2010, l’ultimo suo giorno. Chiamata tanto inattesa quanto gradita. “Ciao papà. Siamo qui, un manipolo di fratelli. Sai, abbiamo qualche problema di dissenteria ma questo non ci toglie sonno e allegria. Stasera ho un po’ di febbre, ho guardia da mezzanotte alle sei, ma con un paio di tachipirine e il freddo della notte, si può fare. C’è poca acqua, l’elicottero non si è visto, ma considerando che tra breve sarò a casa, va tutto bene”». 
Prosegue. «Oggi, a missione conclusa è tempo di riflessione su cosa questi quattro lustri al netto dei 54 caduti e oltre 700 tra feriti e invalidi permanenti hanno prodotto. Per anni, l’interrogativo se ne sia valsa la pena ha campeggiato nelle mie periodiche riflessioni affidate ai media. Con pacato equilibrio penso a Matteo, all’entusiasmo dei suoi 24 anni, ai suoi progetti, alla sua spensierata allegria, cose legate al passato che si intrecciano nella mente come echi lontani. Il presente, con crudo realismo, racconta di attestati e medaglie. Croce d’onore alla memoria, medaglia d’argento al valore dell’Esercito. Freddi manufatti che riempiono di orgoglio e cicatrici».
Tutto ebbe inizio quell’undici settembre 2001. «In quel giorno di fine estate, le televisioni di tutto il mondo mostravano persone disperate in preda al panico lanciasi dalle torri in fiamme. Vent’anni anni dopo inquadrano, nel caos di un aeroporto, altre persone aggrappate alla vita schiantarsi da un aereo in decollo spinte dalla stessa disperazione».
Franco Miotto chiude. «Di questi 20 anni si è detto e scritto tanto, troppo. Era una missione, in larga parte finalizzata all’aiuto e al sostegno, terminata con l’amaro retrogusto di seduzione e abbandono. Forse, e dico forse, il tempo produrrà risposte che oggi sfuggono, per dare senso a una vicenda fin qui paradossale, il cui vivere presente però ci ha abituato».
Appuntamento con gli Alpini della sezione dell’Ana di Vicenza e del gruppo di Thiene alle 9.15, ai Cappuccini. Poi la sfilata silenziosa verso il cimitero, presente il sindaco di Thiene, Gianni Casarotto. Alle 11 la messa nella chiesa della parrocchia della Conca.

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Andrea Mason

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