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Vicenza

Fu infettata in ospedale. Risarcita con mezzo milione

L’anziana fu sottoposta ad un’operazione cardiochirurgica (Foto Archivio)
L’anziana fu sottoposta ad un’operazione cardiochirurgica (Foto Archivio)
L’anziana fu sottoposta ad un’operazione cardiochirurgica (Foto Archivio)
L’anziana fu sottoposta ad un’operazione cardiochirurgica (Foto Archivio)

Si era infettata durante l’intervento chirurgico, patendo gravi sofferenze e una patologia che l’ha portata in sedia a rotelle. Per questo deve essere risarcita dall’Ulss in solido con la società che le fornì il macchinario che trasmise il batterio. La prima decisione sul temibile “chimaera”, il batterio che provocò un caso giudiziario a livello nazionale a partire dal 2018 con la morte dello sfortunato dottor Paolo Demo, arriva da Vicenza, dove la questione partì. Il giudice Eloisa Pesenti del tribunale civile berico ha infatti condannato l’Ulss 8 Berica Sorin group Italia (oggi Livanova deutschland gmbh) a risarcire, con una cifra di poco inferiore a mezzo milione di euro, un’anziana vicentina di 85 anni, che abita in città. La paziente, tutelata dall’avv. Mario Trivellato, ne aveva chiesto 600 mila, ma l’ordinanza ha stabilito che le spetti una somma leggermente inferiore. Ma ha stabilito un principio, e cioè quello che a rispondere civilmente del batterio devono essere anche le aziende sanitarie (in questo caso, per il 50 per cento).

L’intervento. Era il 12 maggio 2015 quando l’anziana venne operata, nel reparto di cardiochirurgia del San Bortolo, per sostituire la valvola aortica con una protesi biologica e per sostituire l’aorta discendente con una protesi vascolare. L’intervento andò per il meglio. Ma, due anni dopo, nel giugno del 2017, la pensionata iniziò a soffrire di vari disturbi. Venne ricoverata in settembre in malattie infettive e si scoprì che era stata colpita dal batterio chimaera. Da allora non si è più ripresa, e oggi soffre di un’infezione cronica ed ha necessità di qualcuno che la segua tutto il giorno.

 

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Il batterio e il contagio. L’infezione è il “mycobacterium chimaera”, che è diffuso in natura e presente soprattutto nell’acqua potabile. È fondamentalmente innocuo, ma dal 2013 sono stati identificati casi d’infezione a distanza di mesi da un intervento chirurgico a cuore aperto. Si trasmetterebbe attraverso dispositivi tecnici contaminati, gli apparecchi per ipotermia che servono a regolare la temperatura del sangue durante l’intervento. Il batterio può essere anche presente nell’aria della sala operatoria e contaminare il paziente. Fortunatamente l’infezione si sviluppa molto raramente, ma colpisce perlopiù pazienti ai quali sono stati impiantati dispositivi artificiali come valvole cardiache. Il caso è scoppiato fra il 2013 e il 2014 fra la Svizzera e gli Stati Uniti, dove sono stati richiamati in ospedale migliaia di pazienti che avevano subito interventi a cuore aperto per dei controlli supplementari. È esattamente il batterio che ha contagiato la pensionata, e che lo ha scoperto più di due anni dopo: ma un tempo così lungo di incubazione è normale per il chimaera, come accertato anche dai due consulenti tecnici d’ufficio chiamati dal giudice, il medico legale Luca Pieraccini e l’infettivologo Marco Borderi. Il batterio ha contagiato l’anziana durante l’intervento, a causa del macchinario scambia-calore della Sorin contagiato.

La causa civile. Sono numerose le vittime in tutta Italia; l’inchiesta penale, avviata dal pubblico ministero Angelo Parisi a Vicenza dopo la denuncia dei famigliari del dottor Demo, che aveva tenuto un memoriale in cui narrava quanto gli stava accadendo, è ferma da anni. Per questo è arrivata prima quest’ordinanza, al termine della causa promossa dall’anziana contro l’Ulss 8 (avv. Pierluigi Vinci), che aveva chiamato in causa la compagnia assicurativa Berkshire Hathaway, Sorin group e Livanova (avv. Francesca Rolla e Vincenzo Donadio), e Humana medical srl (avv. Chiara Silva), che si era occupata della manutenzione. I consulenti, nel contraddittorio fra le parti, hanno segnalato una circostanza assai significativa, e cioè che fin dal 2014 il reparto di cardiologia era stato informato da uno «specifico avviso di sicurezza» sui rischi di chimaera legati a quel macchinario. Per il giudice, sulla scorta dell’elaborato dei periti, i danni subiti dalla vicentina sono derivati dall’infezione nosocomiale contratta a causa di apparecchiature fornite dall’azienda. Per il tribunale «è provato il nesso di causalità»; l’Ulss si difendeva sostenendo di essere stata diligente, mentre per il giudice ha violato il “contratto” con la paziente, e non ha provato «di avere adottato ogni possibile misura per prevenire l’infezione, il cui rischio era stato già reso noto quanto meno sul sito del ministero». Invece Livaova-Sorin hanno violato il codice del consumo, perché il «produttore è responsabile del danno cagionato da difetti del suo prodotto». Il macchinario o era contaminato in origine, o non erano state fornite adeguate avvertenze, mentre non ha responsabilità Humana. Di qui la condanna: l’anziana merita il risarcimento per le gravi conseguenze patite, e otterrà anche le spese legali. 

 

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Diego Neri

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