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Noventa Vicentina

E la moschea
dell'integralista
resta vuota

Il capannone che ospita il centro culturale islamico “Assonna”
Il capannone che ospita il centro culturale islamico “Assonna”
Il capannone che ospita il centro culturale islamico “Assonna”
Il capannone che ospita il centro culturale islamico “Assonna”

NOVENTA VICENTINA. Adi passa per due volte in bici davanti al centro islamico di via delle Arti. Al terzo giro si ferma e, interrogato sull’imam espulso, indica la mano destra. «Vedi? Nessun dito è uguale. Così, se chiedi a cinque persone cosa pensano di Mohammed Madad, sentirai cinque opinioni diverse. Io non lo conosco, ma mi dispiace per lui». Il giorno dopo l’espulsione della guida spirituale, la moschea “Assonna” rimane vuota. Visto da fuori il capannone della zona artigianale è un anonimo cubo di cemento che, oltre ai musulmani del Basso Vicentino, ospita una palestra, un’agenzia immobiliare, una televisione digitale e un negozio di peluche. Il presidente del centro Abdellah Tadumant, operaio in una carpenteria, è in turno di lavoro. «Se la polizia ha deciso di mandarlo via dall’Italia, forse c’è qualcosa che noi non sappiamo», si è limitato a dire ai fedeli che gli hanno chiesto spiegazioni. Ma secondo indiscrezioni la comunità musulmana si sarebbe spaccata su quell’imam arrivato da pochi mesi e che non piaceva proprio a tutti. Lo fa intuire lo stesso Adi, che la sa lunga per essere «uno che non frequenta la moschea», anche se ammonisce: «Su dieci parole, otto sono vere e due no».

Chi non può esprimersi, perché dice di essere arrivato in Italia da pochi giorni, è Mohamed Faradi, marocchino di 58 anni. «Davvero l’imam è stato espulso? Lunedì gli avevo dato 200 euro perché doveva comprarmi un biglietto aereo. Io non ho la carta di credito, sono venuto qua in moschea e ho conosciuto lui. Che fine hanno fatto i miei soldi? Me li farò ridare dal centro islamico, se no vado dai carabinieri».

L’auto dei militari del maresciallo Davide Agnello passa più volte nel corso del pomeriggio in via delle Arti. Ma davanti alla porta del centro islamico non c’è traccia di fedeli. La notizia dell’espulsione si è diffusa rapidamente e in molti hanno deciso di stare alla larga dal luogo di preghiera.

Uno dei pochi ad affacciarsi è Mohamed Moataz, operaio che lavora proprio di fronte alla moschea. E difende a spada tratta l’imam Madad. «Lui estremista? Macché. Vado tutti i venerdì al centro. Non l’ho mai sentito una sola volta fare dei discorsi violenti. Dite che sua figlia si chiama Jihad? Ma in Marocco è un nome normale, anche mio fratello si chiama così. È come Fabio o Paolo da voi. È la verità. Io sono in Italia da 20 anni, lavoro, pago le tasse e vado a pregare. L’islam non è terrorismo: a Nizza è morto il figlio di mio cugino, anche lui musulmano. L’islam è una religione di pace. E l’imam Mohamed era uno tranquillo».

In via Godicello, dove abitava in una palazzina fatiscente, tra parabole e fili penzolanti, l’opinione dei vicini è un po’ diversa. «Lui era un po’ duro, e poi non aveva studiato. Per diventare imam bisogna fare l’università, lui era diventato imam da solo», racconta Abdelghani.

Il sindaco Marcello Spigolon, invece, tira un sospiro di sollievo. «Personalmente non lo conoscevo, perché non frequento quei posti. Però la notizia mi ha tranquillizzato. Se l’imam è stato espulso perché era radicale, vuol dire che i centri islamici sono monitorati. E quindi posso solo dire grazie alla polizia e al ministero».

Paolo Mutterle

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