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Vicenza

Dal Molin
10 anni senza
la parola fine

Foto amarcord: ecco come si presentava il vecchio Dal Molin prima del cantiere per la base Del Din
Foto amarcord: ecco come si presentava il vecchio Dal Molin prima del cantiere per la base Del Din
Foto amarcord: ecco come si presentava il vecchio Dal Molin prima del cantiere per la base Del Din
Foto amarcord: ecco come si presentava il vecchio Dal Molin prima del cantiere per la base Del Din

Colonne, frontoni, cupole, simmetrie e sezioni auree. In principio voleva essere un omaggio a Palladio. «L’estetica esterna degli edifici riprenderà i caratteri stilistici architettonici palladiani». Non era la descrizione di una villa veneta, era il progetto di una caserma. Una caserma neoclassica. Iniziò così, dieci anni fa esatti, l’affaire Dal Molin, con un paio di righe e un grappolo di foto pubblicate su queste pagine e pescate da un dossier alto venti centimetri con la bandierina a stelle e strisce, le aquile e le insegne del Pentagono: cinquecento pagine per raccontare la sorella della Ederle, immaginata sui prati dell’aeroporto Dal Molin. Il premier era da qualche settimana Romano Prodi, l’inquilino della Casa Bianca era George Bush, mentre deflagrava Calciopoli mentre gli Azzurri si allenavano per una coppa del mondo che avrebbero alzato sotto il cielo di Berlino. Quel 25 maggio 2006, con la pubblicazione della relazione tecnica e dei rendering, segnò una linea di confine in una storia che non è ancora finita: all’improvviso il caso Dal Molin uscì dal recinto della chiacchiera politica locale e divenne un fenomeno popolare, di massa, con la prima invasione del consiglio comunale e la prima manifestazione in piazza, prologo dei grandi cortei e di un caso mediatico che calamitò l’attenzione di Bbc, Cnn e Al Jazeera, oltre a portare l’Italia sull’orlo di una crisi di governo e della rottura dell’alleanza con gli Usa. In realtà fino ad allora il romanzo “Dal Molin” aveva avuto un andamento carsico, affiorando ciclicamente sulle pagine dei giornali nella sostanziale indifferenza dei vicentini. Le prime notizie risalgono al 2003, quando da fonti sindacali trapelarono indiscrezioni circa un interesse americano per l’area. Ancora alla fine del 2005 un question time in sala Bernarda svelava l’ipotesi di costruire la nuova base sul lato est, lungo strada Sant’Antonino: il botta e risposta si risolveva in cinque minuti, senza strascichi e nello scetticismo degli addetti ai lavori. Sembrava una storia troppo grande per la piccola Vicenza. L’accelerazione arriverà nel maggio 2006, quando il pentolone verrà scoperchiato in modo rocambolesco, con una scena da film. In fondo alla sala di un convegno sull’Alta velocità, si schierava un plotoncino di ufficiali americani in uniforme e faceva un cenno al tavolo dei relatori, dove siedeva Claudio Cicero, all’epoca assessore a mobilità e trasporti. «What’s happened, mister Cicero?». «Cosa è successo?», chiesero sventolando un foglio di carta: era il niet timbrato dall’Edilizia privata del Comune al progetto per la nuova installazione militare: «Non è compatibile con il Piano regolatore vigente». Quanto bastava per dare la stura a un incidente diplomatico: il piccolo municipio del profondo nordest contro la prima potenza militare mondiale, Davide contro Golia. Tempo tre giorni e il faldone divenne di dominio pubblico. Non era più una congettura: i vicentini toccavano con mano un progetto a cui per tre anni non avevano voluto credere. Una settimana dopo, mentre prendeva forma il movimento “No Dal Molin”, il generale Jason Kamiya saliva le scale di palazzo Trissino per discutere, davanti a caffè fumante e biscotti al burro, dei tempi, dei modi e delle possibili compensazioni. Dieci anni dopo la base Del Din è perfettamente funzionante e sta per festeggiare il terzo anniversario, i vicentini sono ancora in attesa di passeggiare al parco della pace e di percorrere la tangenziale.

Gian Marco Mancassola

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