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Cornedo

Uccise il vicino
Condannato
a nove anni

Tiziano Zordan per la Corte d’Appello è un assassino. FOTO ARCHIVIO
Tiziano Zordan per la Corte d’Appello è un assassino. FOTO ARCHIVIO
Tiziano Zordan per la Corte d’Appello è un assassino. FOTO ARCHIVIO
Tiziano Zordan per la Corte d’Appello è un assassino. FOTO ARCHIVIO

Nove anni e quattro mesi di reclusione. La Corte d’Assise d’Appello ha ritenuto l’operaio di Cereda colpevole dell’omicidio del vicino di casa; ha ridotto la pena, ma ha confermato le sentenze di primo e di secondo grado, che la Cassazione aveva annullato nell’autunno scorso.

La vicenda che vedeva per imputato Tiziano Zordan, dopo la decisione dei giudici supremi che avevano ordinato di riesaminare le prove, perchè non c’era chiarezza su quanto accaduto la sera del delitto, era tornata a Venezia davanti ad un’altra corte. Che ieri ha accolto le richieste della procura generale, stabilendo che l’operaio di 44 anni la sera del 23 settembre 2011 uccise volontariamente dopo una lite il suo vicino di casa Flavio Sartori.

I giudici lagunari hanno solamente applicato uno sconto di pena (di sei mesi); per comprendere il ragionamento del collegio sarà necessario attendere le motivazioni. L’imputato di Cornedo, cinque anni fa, al culmine di una baruffa, aveva colpito mortalmente il pensionato che gli abitava a fianco. Zordan, secondo la ricostruzione accusatoria, aveva ucciso Sartori, 58 anni, colpendolo al capo con un levarino, ed era stato condannato a risarcire la vedova con complessivi 245 mila euro. All’epoca dei fatti, la famiglia Zordan divideva una bifamigliare con i Sartori, marito e moglie, in via Giarrette a Cereda di Cornedo. Quella sera Zordan, difeso dall’avv. Emanuele Fragasso, colpì il pensionato con l’attrezzo di ferro in testa nel corso di una disputa molto accesa scoppiata, come molte altre in precedenza, per i rumori prodotti dagli Zordan che infastidivano la vittima. L’assassino colpì più volte il pensionato e quelle botte spedirono il vicino in gravissime condizioni in ospedale, dove morì qualche ora più tardi.

I carabinieri di Valdagno e del nucleo investigativo, con i luogotenenti Summa e Ferrante, arrestarono l’omicida. L’avv. Nicola Mele, costituito parte civile per la vedova Teresa Guiotto, aveva chiesto 350 mila euro; la famiglia Zordan vendette la casa per pagare una parte della cifra.

Zordan era stanco delle contumelie del vicino: «Sartori - scrisse il giudice nelle motivazioni - non era ben visto da nessuno, per il suo amore per il silenzio e perchè non partecipava alle cene di vicinato o di contrada, protestando, con modi inurbani, quando ciò accadeva».

Ma Sartori non era mai andato oltre: non aveva mai minacciato né aggredito alcuno. In Cassazione la prima sezione si era soffermata sulla dinamica di quanto accaduto.

Per i giudici veneziani, due erano quelle possibili: o Zordan aveva colpito più volte Sartori, anche quanto quest’ultimo era a terra, e lo aveva ucciso con il levarino; oppure i due, tenendo assieme il levarino, si erano fronteggiati, e il pezzo di ferro aveva sbattuto contro il capo di Sartori durante la colluttazione.

Per la Corte lagunare le due versioni sono «entrambe possibili», ma comunque la morte era stata determinata da una «condotta dolosa di Zordan per avere quest’ultimo, seppure con diversa intensità della violenza volontariamente e ripetutamente colpito la vittima con un corpo contundente di forte impatto e in parti vitali del corpo».

Per la Cassazione queste motivazioni non stanno in piedi. Se Zordan ha colpito a mano libera voleva uccidere; nel caso di colluttazione, il suo comportamento va qualificato in un’altra maniera, certo meno grave. Di qui, per gli ermellini, la necessità di un nuovo processo.

Ieri l’Appello ha ritenuto che Zordan quella sera abbia ucciso volontariamente, e pertanto lo ha condannato, nonostante la difesa chiedesse l’assoluzione. Ha inoltre confermato il risarcimento alla vedova. L’operaio, che scontò solo un giorno di carcere - è sempre stato ai domiciliari con possibilità di lavorare per mantenere la famiglia - potrà ora tornare in Cassazione per far valere le sue ragioni.

Diego Neri

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