<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
Valdagno

Da Novale
alla pasticceria
Marchesi

L'intervista
Diego Crosara dà l’impressione di giocare con la farina, che sa trasformare con straordinaria abilità
Diego Crosara dà l’impressione di giocare con la farina, che sa trasformare con straordinaria abilità
Diego Crosara dà l’impressione di giocare con la farina, che sa trasformare con straordinaria abilità
Diego Crosara dà l’impressione di giocare con la farina, che sa trasformare con straordinaria abilità

«Fate il lavoro che vi piace e andrete a giocare tutti i giorni» è il suo motto. E proprio così, a piccoli passi come fosse un gioco, Diego Crosara ha vissuto la sua scalata, nel mondo della pasticceria. Nato a Novale nel 1965 e cresciuto “Al Portego”, la pasticceria di famiglia, in viale Regina Margherita, dopo essersi formato all’Artusi di Recoaro, è passato attraverso diversi concorsi internazionali, che l’hanno visto spesso vincitore, per approdare nel gotha della pasticceria milanese, quando Marchesi 1824, acquisita dal gruppo Prada, l’ha scelto come consulente. Dopo il locale appena inaugurato da Carlo Cracco parla così doppiamente vicentino galleria Vittorio Emanuele, dove ha sede una delle pasticcerie di gruppo. Burro e farine sono stati i suoi compagni di giochi, fin da bambino, quando ha condiviso con il padre segreti e passioni e molti a Valdagno ricordano ancora il gusto pieno delle creme e la friabilità delle crostate. «Facevamo un po’ di tutto - racconta Crosara - torte, mignon e gelati. Tutta quella che può essere definita pasticceria classica».

 

Valdagno le stava stretta?

Non esattamente. Ho lasciato Valdagno 14 anni fa, quando mi sono sposato. Ora vivo ad Altavilla. Diciamo che mi stava stretta la vita in laboratorio».

 

Quando si è scoperto “maestro”?

«Ho sempre avuto la passione per l’insegnamento e già dal 1995 ho iniziato a collaborare con le scuole. Insegnavo e facevo concorsi. Questo mi ha permesso di fare esperienza sia a livello di docenza che di concorsi e mi ha confermato che mi piaceva di più insegnare che avere una mia pasticceria».

 

Cosa vuol dire essere pasticcere in un’era in cui lo zucchero demonizzato?

«Lo zucchero, come la carne o i formaggi. Come in tutte le cose è una questione di misura, cercando di avere un’alimentazione equilibrata, sapendo che abbiamo bisogno anche di zuccheri. Sicuramente oggi si va verso una pasticceria più leggera, con un basso tenore di zucchero».

 

Qual è, secondo lei, il dolce per eccellenza?

«La crostata, non a caso piace a tutti. Può sembrare banale, ma non è facile farla buona, con la giusta friabilità, una confettura a base di frutta al 100 per cento. Sono tanti i fattori che contribuiscono a fare una buona crostata».

 

Le sue creazioni sembrano opere d’arte. Dove si ispira?

«Dormo poco, penso tanto e guardo molto natura».

 

Ci ha abituato agli abbinamenti più inconsueti, come le vengono?

«Continuo a sperimentare: mi piace abbinare il dolce al salato. L’ultimo che ho fatto è stato il gelato alla vaniglia con il caviale, oppure il cioccolato con il formaggio a pasta dura. Cose particolari».

 

Chi sono i suoi assaggiatori?

«Mia moglie, e poi il pubblico. Chi viene ai miei corsi sa che sono estroso, ma anche che quello che propongo è fattibile, da chiunque. È solo una questione di dialettica, o di macchinari».

 

Qual è la sua marcia in più?

«La fantasia e la coerenza di avere i piedi per terra».

 

Che dolce chiede quando va al ristorante?

«Difficilmente lo chiedo: se trovassi un dolce buono, mi darebbe fastidio non averlo fatto io». 

Marialuisa Duso

Suggerimenti