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Avvocato fece sparire milioni di euro

Militari della guardia di finanza impegnati in accertamenti di polizia economica
Militari della guardia di finanza impegnati in accertamenti di polizia economica
Militari della guardia di finanza impegnati in accertamenti di polizia economica
Militari della guardia di finanza impegnati in accertamenti di polizia economica

L’avvocato d’affari Gianpietro Rausse, originario di Valdagno e poi trapiantato a Milano con un avviato studio, svolgeva parallelamente alla sua professione forense quella di intermediatore finanziario. Un’attività totalmente illecita che se da una parte gli ha permesso di trasferire all’estero somme ingentissime - secondo i calcoli della Finanza nel 2011 addirittura 74 milioni di euro -; dall’altra l’ha fatto finire dapprima in carcere e quindi condannato con sentenza passata in giudicato a 5 anni di reclusione per bancarotta fraudolenta patrimoniale. Nei giorni scorsi, la Cassazione, l’ha invece assolto dalle residue accuse di appropriazione indebita perché prescritte. MAGGIO 2009. È l’estate 2009 quando Rausse, 69 anni, viene arrestato dalla guardia di finanza di Milano. Decisive sono state le dichiarazioni del 16 maggio in punto di morte dell’industriale, Cavaliere del lavoro Mario Besana, davanti a un magistrato elvetico. L’indomani il patron della Bburago spa, famosa fabbrica di modellini di Burago Molgara - con sede in Brianza fallita il 17 ottobre 2005 -, esala l’ultimo respiro. Non senza prima avere scavato la tomba giudiziaria di Rausse. È una dichiarazione sottoscritta anche dalla moglie Ivana Pisanò, cui è allegato un memoriale del morente che mette con le spalle al muro il legale nato a Valdagno. «Besana - scrivono i giudici - su consiglio e con l’ausilio di Rausse dirottò verso quest’ultimo 7 milioni di euro della società da lui amministrata e lo fece, in parte, trasferendoli a Singapore, su conti della Pembroke Int». Quei soldi provenivano da un conto di Lugano appoggiato all’Ubs e intestati alla Fincom Investors S.A. ESTERO. Le affermazioni del cavaliere Besana scatenano il pm Walter Mapelli di Monza che affida alle Fiamme Gialle accertamenti che inquadrano i contorni della bancarotta per la quale patteggeranno i componenti del collegio sindacale e saranno condannati altri imputati. IL DENARO. Dalle ispezioni e testimonianze gli inquirenti ricostruiscono una bancarotta di cui l’avvocato Rausse ha tirato le fila. Inoltre, egli ha gestito in maniera abusiva, cioè senza l’abilitazione prescritta dal decreto legislativo 58 del 1998, la raccolta di risparmi per 36,6 milioni e 1,3 milioni di franchi svizzeri tra il 2000 e 2009. Ancora, il legale si era impossessato di 900 mila dollari e 300 mila euro a lui consegnati da Gloria S. per investimenti finanziari all’estero con la promessa di lauti ricavi. In realtà, rimasti lettera morta. I VERDETTI. I giudici spiegano la colpevolezza dell’avvocato Rausse con le dichiarazioni autoaccusatorie di Besana, che non aveva «alcun interesse ad attribuirgli la conoscenza di quella provenienza ed erano, anzi, interessati a negare la provenienza stessa delle somme dalla Bburago spa». DIFESA. Gli avvocati Andrea Cataldo e Stefano de Francesco hanno contestato su tutta la linea sia sul piano della legittimità che della sostanza giuridica la ricostruzione della Corte d’Appello di Milano del 23 settembre 2011, sottolineando anche i motivi di astio del Cavaliere Besana verso Rausse. Ma sul punto i Supremi giudici hanno respinto il ricorso, accogliendolo solo per la parte in cui è stata rideterminata la pena, da 5 anni 4 mesi a 5 anni di carcere. Il fatto che Besana «avesse costituito disponibilità estere prima del 2005 attraverso perdite fittizie su derivati, non toglie che quelle costituite dopo tale epoca fossero illecite». IL FALLIMENTO. Un anno fa è di ventata esecutiva la sentenza di fallimento dell’avv. Gianpietro Rausse, che gestiva un’attività imprenditoriale a scopo di lucro, parallela a quello di legale, incorrendo pertanto nelle sanzioni civili del caso. Per la Corte di legittimità è pacifico che il legale svolgesse l’attività finanziaria acquisendo «presso svariati clienti somme di denaro di notevole importo». Appunto per 74 milioni di euro, come stimò la Finanza nel 2011, anche se poi nel capo d’imputazione della bancarotta passata in giudicato, la somma è ridotta a 36,6 milioni più 1,3 milioni di franchi svizzeri. Denaro sparito all’estero. Rausse si avvaleva di collaboratori e di società da lui «controllate in via diretta e indiretta», con un’attività di tipo imprenditoriale soggetta al fallimento. La Finanza sequestrò anche immobili in Lombardia e Sardegna del valore di decine di milioni di euro. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Ivano Tolettini

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