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Quartiere Rossi, il Comune è ok

Uno scorcio di via Fusinieri nel quartiere Rossi
Uno scorcio di via Fusinieri nel quartiere Rossi
Uno scorcio di via Fusinieri nel quartiere Rossi
Uno scorcio di via Fusinieri nel quartiere Rossi

Ivano Tolettini Il “Piano Mancuso” prevale sul codice civile. Il piano particolareggiato di recupero del quartiere operaio “Alessandro Rossi”, appunto detto Mancuso, può derogare dal codice civile per la distanza minima nelle costruzioni che è di 3 metri, come indicato dalla Corte Costituzionale e dalle successive sentenze della Cassazione civile e del Consiglio di Stato. Di conseguenza la causa civile avviata nell’ormai lontano 2005 da Angela Valmorbida contro il vicino Matteo Gaule, in via Fusinieri, si trasforma in una specie di boomerang. I lavori eseguiti da Gaule nel proprio fabbricato, ed autorizzati dal Comune, prima di essere a suo tempo sospesi dal giudice civile, sono legittimi. Mentre sarebbe l’attaccante Valmorbida a dovere arretrare le vasche biologiche e le tubature perché interrate a meno di 2 metri dal vicino, ed a rifondere a Gaule le spese processuali quantificate attorno ai 10 mila euro. L’uso del condizionale è legato alla circostanza che nel frattempo i rapporti tra i vicini di casa non solo si sono appianati, ma sono diventati amichevoli, e pertanto la lite giudiziaria è passata in secondo piano. Sono i “miracoli”, a volte, della lentezza della giustizia. Invece, ed è di rilievo pubblico per le migliaia di abitanti del quartiere Rossi, quello che non è passato in secondo piano, ed è il succo della sentenza del giudice civile Eloisa Pesenti, è che il cosiddetto “Piano Mancuso” prevale sul codice civile. Questo detto in termini grossolani ma comprensibile a tutti, vista la complessità della materia urbanistica. È successo quello che allora aveva ipotizzato l’Ufficio tecnico comunale, prima che intervenissero le autorevoli sentenze dei giudici di legittimità civile e amministrativa. Sentenze peraltro necessarie per dirimere la controversia. Dunque, tredici anni dopo la bufera che lambì l’ amministrazione Dalla Via, il Comune è uscito confortato dalle decisioni del tribunale civile. Ma c’è di più, la storia processuale indica che il comportamento tenuto dal sindaco del tempo Luigi Dalla Via, dal vice Dario Tomasi e dall’allora capo dell’Ufficio tecnico, il defunto Fabio Mabilia, era conforme allo spirito delle leggi: penali e civili. I tre, come si ricorderà, finirono sotto inchiesta addirittura per concussione, innescando le inevitabili speculazioni politiche - che non impedirono a Dalla Via di vincere l’elezione per il secondo mandato (2009-2014) -, prima di essere scagionati penalmente. Come scrisse il gup Dalla Via, Tomasi e Mabilia volevano «solo trovare un giusto e legittimo compromesso a favore della signora Valmorbida, per evitare la demolizione» di quanto da lei realizzato. Certo, è vero che quando Valmorbida avviò la causa non c’erano ancora state le interpretazioni di Consulta, Cassazione e Consiglio di Stato sulla deroga dei piani particolareggiati di interesse storico-sociale, com’è quello del quartiere Rossi, ma tredici anni dopo la posizione giuridica degli avvocati Simone Veronese, per Gaule, e Gianmartino Fontana e Umberto Poscoliero per il Comune, è uscita premiata. Ai residenti, comunque, l’aspetto che interessa di più è che possono mettere mano ai loro fabbricati in base a un’interpretazione estensiva delle norme civili, proprio per le caratteristiche storiche del quartiere pensato e realizzato da Alessandro Rossi tra il 1872 e il 1888. •

Ivano Tolettini

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