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«Nel letto insanguinato dove si compì l’Eccidio»

Un’immagine felice della Liberazione di Schio del 29 aprile 1945Il corteo funebre dei partigiani uccisi poco prima della Liberazione
Un’immagine felice della Liberazione di Schio del 29 aprile 1945Il corteo funebre dei partigiani uccisi poco prima della Liberazione
Un’immagine felice della Liberazione di Schio del 29 aprile 1945Il corteo funebre dei partigiani uccisi poco prima della Liberazione
Un’immagine felice della Liberazione di Schio del 29 aprile 1945Il corteo funebre dei partigiani uccisi poco prima della Liberazione

Si trovava fra le strade di Schio quel 29 aprile 1945 quando la città venne liberata. E tre mesi dopo giaceva su un materasso lordo di sangue, nelle carceri di via Baratto dove pochi giorni prima c’era stato l’Eccidio. Sergio Dall’Osto si definisce «vecchio rudere di 88 anni, tra il vecchio e l’antico, fortunatamente ben tenuto grazie ad una efficiente sovraintendenza famigliare». Abita a Negrar, nel Veronese ma è scledense nel cuore e nell’animo e non manca di ricordare cosa gli accadde in quegli anni, passati fra oratorio salesiano e prigioni per qualche bravata commessa. Lui che dopo è diventato addirittura un quadro della Fiat, fianco a fianco con Gianni Agnelli e Cesare Romiti. La Liberazione per Dall’Osto ha un significato particolare: «Il 29 aprile a Schio scesero dalle montagne i partigiani e arrivarono gli americani. Fino a qualche tempo prima io, come tutti i miei compagni, ero, ovviamente, fascista, quasi a mia insaputa». Ecco cosa Sergio, all’epoca quindicenne, vide: «La lunga fila di tedeschi, perdenti, disfatti, del tutto diversi dagli impeccabili soldati che eravamo abituati ad ammirare (e temere), che si trascinavano in disperato disordine, verso il Nord. Da sottolineare e ricordare come nessun gesto di violenza o di vendetta sia stato compiuto contro questi poveri straccioni perdenti. Abitualmente la Liberazione viene ricordata come una grande festa, di gioia, entusiasmo. È vero solo in parte. Le sensazioni erano sì di liberazione, ma anche di sconcerto, insicurezza e di paura per il futuro». Ma ecco il racconto dell’adolescente di allora: «Io in quel periodo, ero apprendista radiotecnico proprio in Piazza A.Rossi, in pieno centro. Era la piazza che aveva visto le adunate fasciste, le arringhe patriottiche di fra Ginepro da Pompeiana, di don Tullio Calcagno, (altoparlanti a tromba, microfono e dischi di regime erano parte del mio lavoro). Passarono pochi giorni e a 200 metri di distanza, alla fine di via Carducci, nel cortile della sede delle Brigate nere scoprimmo i resti del giovane Giacomo Bogotto torturato, a cui erano stati strappati gli occhi e seppellito ancora vivo ..!» Secondo Dall’Osto questa drammatica scoperta, la strage di Pedescala e altre efferatezze compiute dalle Brigate nere, «aggravata dall’impressione che dava il comportamento allegro del capitano Chambers (governatore alleato) il quale sottovalutava la situazione, fece sorgere in breve tempo una atmosfera tempestosa che ebbe il suo epilogo nell’eccidio, da parte di alcuni partigiani, di 54 fascisti o ritenuti tali e 81 feriti rinchiusi del vicino carcere di via Baratto». Così finisce la Liberazione e iniziano i rancori, le divisioni. «Anch’io, senza togliermi di dosso le mie colpe, mi sono trovato dopo poco tempo ospite di quelle carceri. Fornito di paglione, coperte ancora macchiate di sangue, con i segni delle pallottole nei muri , colpevole di porto d’armi da guerra, rapina ed altro, ho iniziato la mia triste carriera girando dentro fuori dalle carceri di mezza Italia, carriera finalmente chiusa con un felice matrimonio, una sana famiglia e la passione per il mio lavoro che mi ha sempre sorretto ed aiutato anche nei momenti peggiori. Sono passati 73 anni ma sembra ieri. Non dimentichiamo». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Mauro Sartori

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