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Schio/Rovigo

A 15 anni scappa
dai genitori affidatari
e fa ritorno a casa

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La stazione ferroviaria di Schio dove il ragazzino ha preso il treno
La stazione ferroviaria di Schio dove il ragazzino ha preso il treno
La stazione ferroviaria di Schio dove il ragazzino ha preso il treno
La stazione ferroviaria di Schio dove il ragazzino ha preso il treno

SCHIO/ROVIGO. A casa dei genitori affidatari non voleva più starci. E non perché lo trattassero male, ma semplicemente perché, nonostante le difficoltà e i momenti non sempre facili, voleva riabbracciare mamma e papà (quelli veri). Così, l’altro giorno, un ragazzino di 15 anni, affidato a una coppia di Schio, senza dire niente, ha preso le sue cose; quindi il treno e poi l’autobus, ed è tornato a casa sua, in provincia di Rovigo. 

 

Ad allontanare il quindicenne dai genitori naturali era stato un decreto del tribunale per i minorenni dopo avere ricevuto la relazione dei Servizi sociali dell’Ulss 5 Polesana. Ma il caso, come tutti quelli che comprendono famiglie problematiche e ragazzi molto giovani, hanno mille sfaccettature e una lettura tutt’altro che univoca. «Mio figlio si è messo in pericolo pur di tornare a casa, facendosi molti chilometri da solo sui mezzi pubblici», denuncia la mamma dello studente. Che poi aggiunge: «Sebbene personalmente non condividessi il decreto di allontanamento che a mio avviso è invasivo e irreale, ho cercato di parlare con lui e di convincerlo a tornare a Schio, ma lui è stato irremovibile». Lui, insomma, voleva tornare a casa. Come aveva ripetuto anche agli assistenti sociali che stanno seguendo il suo caso, quando lo hanno ascoltato nel giugno scorso. «Lì (riferendosi alla famiglia affidataria) - aveva detto il quindicenne - si sta bene, c’è sempre qualcosa da fare. Andrà senz’altro bene per altri ragazzi». Ma evidentemente non per lui che continua a ritenere “casa sua” quella di Rovigo dove ci sono mamma e papà.

 

Del caso si sta occupando anche la onlus Ccdu - Comitato dei cittadini per i diritti umani. A rappresentare i genitori del ragazzo è l’avvocato Francesco Miraglia. «La decisione dei servizi sociali di allontanare il ragazzo è un’ammissione della loro incapacità di aiutare il ragazzo senza disgregare la famiglia. Questa vicenda mette in luce tutte le criticità di un sistema di tutela minorile di matrice psichiatrica che non funziona», dichiara Fabiola Pasin, della sezione Friuli e Veneto orientale del Ccdu. «Nella relazione dei servizi si legge che il ragazzo aveva manifestato più volte la sua contrarietà all'allontanamento e in momenti di fragilità in cui si era sentito «annichilito ha avuto reazioni forti ed enfatizzate, con pianti ricorrenti, chiedendo di vedere i genitori». Eppure il Servizio ha continuato a sostenere, anche nell’ultima relazione, la correttezza dell’allontanamento, sebbene tale decisione fosse stata presa solo perché «aveva dei bisogni ai quali i genitori non riuscivano a rispondere» in totale assenza di motivazioni di una gravità tale da portare a un provvedimento come la disgregazione di una famiglia, che dovrebbe essere l’extrema ratio», conclude la rappresentante del Ccdu. Intanto, ieri, l’avvocato Miraglia ha inviato una comunicazione ai Servizi sociali chiedendo che «il ragazzo e la famiglia vengano finalmente ascoltati e si predisponga un progetto efficace per aiutare questo ragazzo nella sua famiglia».

 

Tanto la mamma quanto il papà, già subito dopo l’allontanamento del figlio si erano detti pentiti di avere accettato la decisione dei Servizi sociali e che erano pronti a riaccogliere il ragazzo a casa. Un desiderio che avrebbero espresso più volte e che ritorno anche nella relazione che gli assistenti sociali dell’Ulss 5 hanno redatto.

M.B.

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