Nel grande brodo primordiale della vita c’è anche un pezzetto di Montecchio Maggiore. Sono le spugne fossili del Chiampo, conservate al museo Zannato, che sono entrate a far parte di uno studio condotto da un team internazionale che ha lo scopo di risalire, andando sistematicamente indietro nel tempo, all’evoluzione della vita. Le spugne - una decina quelle esaminate ma sono un centinaio quelle conservate nelle sale di villa Lorenzoni - risalgono a 50 milioni di anni fa e sono state ritrovate negli anni Ottanta da alcuni appassionati che le hanno poi donate al museo. «Le spugne fossili sono piuttosto rare - afferma Viviana Frisone, curatrice del museo -. In genere si degradano nel fondo del mare. In questo caso siamo stati molto fortunati». All’epoca, nell’Eocene, in tutto il Vicentino c’era un mare tropicale molto caldo, azzurro e popolato di pesci, alghe, tartarughe, granchi e spugne, appunto. «Gli appassionati che le hanno ritrovate hanno fatto un grande gesto di generosità donandole al nostro museo – prosegue Frisone – e noi le abbiamo catalogate, conservate e studiate. Ogni dato è importante nell’evoluzione, è come un grande puzzle al quale Montecchio ha contribuito con un pezzo per formare tutto il quadro. Ogni pezzo però è importante, altrimenti il puzzle è incompleto». Lo studio internazionale è stato recentemente pubblicato e combina dati sia sul Dna delle spugne attuali sia sui fossili allo scopo di produrre un albero evolutivo calibrato nel tempo. Le spugne sono infatti tra i più antichi animali multicellulari ancora viventi. Probabilmente sono alla base dell'evoluzione e rientrano tra i progenitori comuni a tutti gli altri animali, uomo compreso. Ricostruire l’albero evolutivo delle spugne è dunque fondamentale per capire come si è evoluta la vita sul nostro pianeta. «I fattori più importanti in questo nuovo approccio sono stati il numero di fossili - afferma Astrid Schuster, ricercatrice alla Ludwig Maximilians Universität di Monaco di Baviera in Germania che fa parte della squadra di studiosi che ha affrontato la ricerca -, le stime precise della loro datazione e l’assegnazione a gruppi di classificazione recenti». «Questo studio conferma come siano utili i musei come archivi di biodiversità, anche di quella antica – commenta la curatrice museale Frisone -. Siamo molto orgogliosi di aver contribuito, con i nostri dati, a uno studio così multidisciplinare ed importante». Da più di 30 anni al museo Zannato si fa ricerca in ambito scientifico sulla mineralogia del Vicentino e sui granchi fossili, con ottimi risultati e con pubblicazioni scientifiche di rilievo. «Il museo - aggiunge il sindaco Milena Cecchetto - seppure piccolo e a carattere locale, presenta delle eccellenze. Fra queste vi sono sicuramente la didattica e la divulgazione, ma anche la ricerca. Recentemente si sono aperte altre linee di ricerca, appunto, che auspichiamo si possano sviluppare a beneficio della conoscenza sui beni culturali del nostro splendido territorio». • © RIPRODUZIONE RISERVATA