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Arzignano

Documenti falsi
Maxi inchiesta
e raffica di indagati

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Un’immagine di Dacca dove c’era la centrale che falsificava i timbri del consolato italiano
Un’immagine di Dacca dove c’era la centrale che falsificava i timbri del consolato italiano
Un’immagine di Dacca dove c’era la centrale che falsificava i timbri del consolato italiano
Un’immagine di Dacca dove c’era la centrale che falsificava i timbri del consolato italiano

ARZIGNANO. Si è allargata l’inchiesta sul giro dei timbri consolari italiani falsi. Servivano per legalizzare certificati di matrimonio e di nascita di cittadini bangladesi, dopo la traduzione a Dacca. Erano documenti necessari per i ricongiungimenti familiari e servivano per le registrazioni nei Comuni oppure per essere portati in prefettura. Era il 21 maggio 2017 quando gli investigatori del maggiore Blasutig, perquisivano l’abitazione di Monir Hossain, indagato per l’uso dei documenti consolari falsificati. Erano soprattutto certificati di matrimonio per consentire ricongiungimenti più rapidi e per far ottenere la cittadinanza italiana. Le verifiche erano scattate un paio di mesi prima, quando i militari scoprirono che il bangladese era diventato il tramite per un’agenzia con sede a Dacca. Monir Hossain, è la sua tesi, aveva scoperto che grazie all’agenzia si riusciva a velocizzare il rilascio dei documenti. «Ma io pensavo fossero veri», ha risposto il bangladese quando è stato interrogato alla presenza del suo difensore. Il compito dello straniero era quello di incassare i soldi per ogni pratica, almeno 300 euro, e quindi di spedirli a Dacca dove venivano perfezionate le pratiche, prima di essere rispedite ad Arzignano per la presentazione negli uffici italiani. Quanti immigrati hanno approfittato dell’agenzia che falsificava i timbri? A questa domanda non c’è risposta. Quando i detective dell’Arma entrarono nell’abitazione di Monir Hossei sequestrarono 13.150 euro. Di recente la Cassazione ha confermato i sigilli respingendo la richiesta di dissequestro.

Ivano Tolettini

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