Le opposizioni fanno “Il punto sul Ponte” e, a un anno dalle elezioni amministrative affida a tre tecnici nella sala conferenze dell’hotel Palladio la disamina degli ultimi sei anni di analisi e restauri. Ne esce un quadro, per l’opposizione consiliare nel quale per forma e contenuti, quanto svolto finora è bocciato su tutta la linea. Così dalla sostanza del progetto, considerato non in linea con il dettato di Palladio e successori, all’assegnazione degli incarichi, non si salva quasi nulla. E del “miracolo”, invocato dall’Amministrazione nei giorni scorsi per chiudere la partita entro la fine del 2019, dalle parti del centrodestra non si vede traccia. «Il Ponte degli Alpini non è un monumento in senso decorativo – ha esordito l’architetto Pino Massarotto del coordinamento “Amici del Ponte” – è una struttura pensata fin da Palladio per essere collocata su un fiume e resistere all’acqua». Da qui, la critica all’attuale progetto di restauro che, a detta di Massarotto, traviserebbe l’impostazione tradizionale che da cinque secoli funziona. «Tecnicamente, le soluzioni proposte – ha aggiunto – si dimenticano di elementi fondamentali come i rostri che hanno lo scopo di proteggere il resto della struttura, e inseriscono un elemento spurio come una trave reticolare. L’esito è la trasformazione del Ponte in un “pezzo unico”, dimenticando il lavoro d’ingegno necessario a rendere la struttura bella e utilizzabile, che risale a Palladio». E se Massarotto ha bocciato le soluzioni tecniche, il secondo relatore, l’architetto (ed ex dipendente comunale) Fabio Sbordone ne ha avuto per i principi che sono alla base del restauro. «Basta leggere le relazioni – ha spiegato – per evidenziare una serie di contraddizioni mai risolte. Tra tutte, quella tra la dichiarazione di voler essere meno invasivi possibile e la volontà di ingabbiare parti del Ponte in una sorta di “sarcofago” che sul monumento non si è mai visto. Sarebbe stato molto più rispettoso della natura e della storia del monumento che simboleggia la città, prima di proporre un progetto fatto e finito, chiedersi perché e che cosa si volesse conservare». Dalle questioni di architettura, all’iter del cantiere, è toccato all’ex consigliere comunale Antonio Guglielmini proporre la cronistoria degli ultimi sei anni. «L’iter comincia nel 2012 – ha detto – ma di restauri in senso stretto si parla dal 2014. Da allora, i punti interrogativi non mancano. Innanzitutto sulla quantità di lavori assegnati senza bando pubblico, poi sul passaggio in poco più di due mesi, tra settembre e novembre di tre anni fa, da un progetto preliminare a un esecutivo da milioni di euro e sull’assegnazione degli incarichi per svolgere i lavori. Nulla di illegale ma la responsabilità politica sui ritardi e sull’impasse ha un colore politico preciso». •