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Quel furgone sulla Rambla che spezzò la vita di Luca «Ma per me è ancora qui»

Era il primo pomeriggio di un anno fa quando in città giunse la notizia che tra le vittime dell’attentato di Barcellona forse c’erano anche dei bassanesi. Per ore tutti rimasero col fiato sospeso, poi, verso le 17, la conferma: Luca Russo, ingegnere di 25 anni, era morto sulla Rambla, ucciso, insieme ad altre quindici persone, dai terroristi. La fidanzata Marta Scomazzon, anche lei colpita dal furgone che si era lanciato ad alta velocità contro i turisti, invece era viva: ferita, scossa, ma viva. Quel terribile giorno, quella terribile perdita, hanno lasciato un segno indelebile in tutti i bassanesi. In un anno sono state decine le iniziative attivate in ricordo di Luca. Oggi alle 19, nella chiesa di San Francesco, la stessa dove vennero celebrati i funerali in forma solenne, l’abate Guglielmi celebrerà una messa di commemorazione aperta a tutta la città, dedicata al giovane ingegnere. La sorella Chiara, e i genitori hanno deciso di non partecipare. «È troppo doloroso - spiega Chiara -, sono grata a tutti per il grande affetto che ci dimostrano ma in un giorno così cupo abbiamo bisogno di stare soli, accompagnati solo dagli amici più intimi». Per Chiara questo è stato l’anno più difficile della sua vita. Non ha mai mollato. Lo scorso dicembre si è laureata in scienze infermieristiche e ha subito trovato lavoro ma, spiega, «ho finito il mio percorso di studi solo per mio fratello, perché volevo renderlo orgoglioso. Non ho ancora elaborato il lutto, combatto ogni giorno contro un dolore profondo che mi fa fare incubi orrendi. Quando parlo di Luca uso il tempo presente, dico «è mio fratello», non riesco ad usare il passato, è ancora troppo presto, non mi viene naturale, perché per me Luca «è» ancora. È ancora qui, è ancora vivo, è ancora accanto a me». La ferita per la città resta aperta, il ricordo non si è mai sbiadito. «Era il mio timore - spiega Chiara -, ho detto subito che avrei voluto che questa terribile storia non venisse dimenticata, sono felice che sia stato così, ma credo che il merito sia anche di mio fratello e della persona stupenda che è, del bene che ha fatto a tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo. Tutte le volte che riesco partecipo alle iniziative organizzate in sua memoria ma ogni volta è davvero difficile per me, ogni volta le mie ferite diventano più profonde. Per questo, in questo primo anniversario, davvero non me la sento di essere presente, devo anche aiutare mia mamma e starle vicina nel modo più giusto per noi. Ogni 17 del mese per noi è una data terribile, cerco sempre di finire prima al lavoro e tornare a casa da lei, la porto fuori a mangiare una pizza, un gelato, nel tentativo maldestro di distrarla». Chiara passerà la giornata con amici di famiglia, che hanno due bimbi piccoli. «Per loro mia madre è come una nonna, quando li abbiamo vicini ci sentiamo meglio. Luca avrebbe tanto voluto diventare papà - racconta - Il più grande, gioca a calcio indossando solo la maglia del Torino di mio fratello, il giorno della tragedia si è scritto il suo nome sul braccio e non ha voluto farsi la doccia per giorni, per non cancellarlo. Nel pomeriggio andremo al parco di Verona, prenderemo un palloncino azzurro a forma di cuore e scriveremo sopra i nostri nome, poi lo liberemo in cielo, per mandare tutto il nostro amore a Luca. Lo abbiamo fatto un mese dopo l’attentato e lo faremo sempre». •

Francesca Cavedagna

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