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La palestra in lutto «Flavio era unico e aiutava tutti»

Una spensierata immagine di Flavio Violetto durante un voloLa palestra chiusa. CECCON
Una spensierata immagine di Flavio Violetto durante un voloLa palestra chiusa. CECCON
Una spensierata immagine di Flavio Violetto durante un voloLa palestra chiusa. CECCON
Una spensierata immagine di Flavio Violetto durante un voloLa palestra chiusa. CECCON

Non c’è nessuna responsabilità di terzi nell’incidente di volo che l’altro ieri ha portato alla morte di Flavio Violetto, il venticinquenne precipitato con il suo parapendio nelle campagne di Semonzo. E’ questa la conclusione raggiunta dalla Procura della Repubblica di Treviso. Il fascicolo subito aperto dalla magistratura per accertare la dinamica dei fatti è stato chiuso ieri ed è stato concesso il nulla osta per i funerali. La morte di Violetto ha sconvolto il Bassanese, dove lo sportivo era molto conosciuto. Da circa due anni lavorava nella palestra di roccia “On sight climbing” di via Ippolito Nievo. L’altra sera gli amici e titolari dell’impianto sportivo lo stavano aspettando, quando non l’hanno visto arrivare la preoccupazione ha iniziato a salire, fino all’arrivo della triste verità. «Posso solo dire che è certamente stato un incidente - spiega Marco Sebellin, titolare della palestra -. Flavio era un professionista preparato, metteva la sicurezza sopra ogni altra cosa. Anche ai suoi tanti piccoli allievi della palestra insegnava a scalare senza alcun tipo di rischio. Altri piloti che stavano volando con lui il giorno dell’incidente hanno visto che non ha commesso alcun errore di manovra, attivando tutte le proceduvre corrette. E io ci credo». «Gli incidenti capitano ovunque - insiste Sebellin -, quando i freni di una macchina smettono all’improvviso di funzionare, anche se li avevi fatti controllare periodicamente; quando ti viene un infarto alla partita di calcetto: qui il problema non è il volo, anzi. Contro il destino non c’è niente che tenga. Flavio aveva certamente fatto tutto bene, su questo non si discute». Oltre alla sua passione per lo sport, c’era una cosa che forse lo caratterizzava ancora di più: l’estremo altruismo. «Per scherzo gli dicevamo affettuosamente che aveva la sindrome di Superman - ricorda l’amico -: tutte le volte che si imbatteva in qualcuno che aveva bisogno, per qualsiasi motivo fosse, lui si precipitava ad aiutarlo. Da noi ha certamente fatto la differenza nella crescita positiva di decine di piccoli scalatori. I ragazzini che due anni fa sono diventati suoi allievi erano timidi e insicuri: lui li ha spronati, motivati, ha dimostrato che credeva in loro. Ci ha fatto addirittura attrezzare una piccola palestra specifica in cui potessero irrobustire adeguatamente i muscoli. Ecco, adesso se quegli adolescenti sono più sicuri e consapevoli delle grandi capacità che possono mettere in campo in tutti i settori della vita, il merito è di Flavio». Il giovane era molto impegnato anche nel volontariato. «E’ una missione di famiglia, che lui aveva davvero nel sangue - conclude Sebellin -, non ho mai visto un ragazzo amare la vita in modo più assoluto e contagioso». •

Francesca Cavedagna

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