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Marostica

Anna e Silvia
Gay con figlia
«Il nostro sogno»

Anna Sartori e Silvia Petronici
Anna Sartori e Silvia Petronici
Anna Sartori e Silvia Petronici
Anna Sartori e Silvia Petronici

«Io e Anna abbiamo sempre pensato di avere un figlio – racconta Silvia -, ma per averlo non c’era l’idea di perseguire la strada dell’inseminazione artificiale. Il pensiero di diventare genitori è rimasto fermo nel cassetto fino al giorno in cui la famiglia di Anna, originaria della Nuova Zelanda, Paese nel quale la legislazione consente l’adozione gay, ci propose di adottare la bimba in arrivo di una giovane coppia di loro cugini con già sei figli». A parlare è Silvia Petronici, 40 anni, fiorentina, che da quattro anni convive a Marostica con Anna Sartori, 45 anni, nata in Nuova Zelanda, di origine maori. Il papà di quest’ultima è marosticense, emigrato dall’altra parte del mondo e rientrato con lei in Italia quand’era bambina. Si dividono tra impegni di lavoro e cura della bimba di nove mesi.

Com’è vivere una storia come la vostra facendo outing, come si dice oggi, in una piccola realtà?

Non abbiamo mai avuto alcuna incertezza nel vivere la nostra omosessualità senza paraventi, convivendo e accudendo quella che considerano a tutti gli effetti la nostra bambina. La nostra storia è iniziata 15 anni fa. Io ero laureanda in filosofia mentre Anna faceva l’operaia alla Belfe. Ci incontrammo a Ischia, durante un seminario sulla cultura maori, io con il mio trasporto per l’arte, Anna innamorata della cultura dei nativi neozelandesi.

Quando vi siete messe assieme?

Cinque anni fa, chiudendo due relazioni ormai finite: Io con la compagna con cui mi ero trasferita a Parma, Anna col marito. Oggi, faccio la curatrice indipendente di arte contemporanea mentre Anna è un operatrice olistica e presidente dell’associazione per i diritti, l’eguaglianza e la libertà di orientamento sessuale Delos, di Vicenza.

Dove vivete?

In una casa a pochi passi dal centro storico di Marostica e da nove mesi con noi c’è anche una bambina.

Quando avete deciso di prendervene cura?

Un anno fa quando abbiamo fatto un viaggio in Nuova Zelanda. Sono stata presentata alla famiglia di Anna.

La legislazione consente questo tipo di adozione.

Sì, è la consuetudine delle popolazioni maori, secondo la quale è possibile adottare il figlio di un membro della stessa famiglia, che non più in grado di provvedere economicamente alla sua crescita. Da qui abbiamo iniziato la nostra vita di genitori.

In Nuova Zelanda avreste potuto sposarvi?

Certo e adottare entrambe la bambina, ma questo non avrebbe avuto alcuna validità nel nostro Paese, anzi avrebbe potuto rappresentare un ostacolo per i documenti della bambina una volta rientrate in Italia. Decidemmo allora di far riconoscere Anna come tutore legale della bambina prima in Nuova Zelanda e poi, una volta ritornate a Marostica, anche in Italia».

Oggi siete mamme a tempo pieno.

Soprattutto Anna, che si occupa tutto il giorno della bambina anche quando io sono fuori per lavoro. Quando abbiamo deciso di prenderci cura della bimba ci siamo poste tante domande. La paura più grande non era in realtà che lei avrebbe avuto due mamme, bensì la nostra diversità etnica, con cui io ho dovuto combattere per tutta la vita. La figura maschile è presente nella vita della bambina grazie al papà di Silvia e agli zii, che non perdono occasione per coccolarla.

Il vostro percorso famigliare di due donne e mamme lesbiche in altri Paesi sarebbe stato più semplice.

Qui abbiamo tutta la nostra vita. Non possiamo pensare di abbandonare la nostra casa solo perché manca una sfera legislativa che tuteli le coppie omosessuali. Abbiamo scelto di rimanere, tentando di colmare questa grave lacuna soprattutto sul piano culturale. Abbiamo un sostegno pieno da tutte le parti, dai vicini che hanno preparato una festa a sorpresa per l’arrivo della bambina fino ai colleghi di lavoro.

Nessuna difficoltà nel vivere allo scoperto la vostra relazione?

Assolutamente no. A primavera battezzeremo la bambina. In realtà, le persone sono molto più avanti di quello che si pensa. È chiaro che c’è sempre qualcuno che non capisce. Questo è un argomento che crea difficoltà a chi ha difficoltà a pensare e a stabilire relazioni comunicative con il prossimo. Il sostegno per la nostra scelta e l’affetto non sono arrivati solo da coppie di amici omosessuali ma da tanta gente. Non abbiamo avuto ostacoli nel riconoscimento effettivo del nostro stato e della nostra vita di famiglia.

Non temete che la vostra bambina possa un domani vivere con qualche difficoltà la situazione di due mamme, confrontandola con quella dei suoi coetanei con un papà e una mamma?

Le domande che ci siamo fatte sono tantissime - ammette Anna - La nostra paura, però, è più legata alla diversità etnica che al fatto che la bambina avrà due mamme. Il mio percorso non è stato semplice. Mi fa più paura che si vedrà tanto che lei non è italiana, come è stato per me. Io sono orgogliosa delle mie origini. Mi sono fatta il tatuaggio tradizionale maori di famiglia, però non è semplice. Questa è la nostra reale preoccupazione. Il fatto che abbia due mamme non mi spaventa. Credo fortemente nell’amore, i bambini hanno bisogno di molto amore.

Come immaginate il vostro rapporto con la madre biologica?

La mia intenzione - afferma Anna - è di portare la bimba a visitare il suo Paese e di permetterle di stare con la famiglia e la tribù. Voglio che possa mantenere il suo contatto con la cultura d’origine.

E con la mamma biologica manterrà dei rapporti?

Ovviamente. Se da un lato le insegneremo la lingua italiana, naturalmente manterrà solide radici anche con la cultura d’origine, a cominciare dal rapporto con la madre biologica. Il problema sarà ovviamente la distanza. Questo tipo di “adozione” prevede però che il bambino sappia chi sono i genitori naturali. La bambina avrà sempre il legame con la famiglia e con gli altri fratelli. Le spiegheremo e le faremo vedere le foto dei suoi fratellini che crescono. Tengo continuamente aggiornate la mamma e la nonna sulla sua crescita.

Floriana Pigato

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