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Il frate con la motozappa «Io prego anche così»

Frate Giuliano al lavoro nei campi che coltiva a Barbarano.GREGOLIN
Frate Giuliano al lavoro nei campi che coltiva a Barbarano.GREGOLIN
Frate Giuliano al lavoro nei campi che coltiva a Barbarano.GREGOLIN
Frate Giuliano al lavoro nei campi che coltiva a Barbarano.GREGOLIN

Ci sono figure come quella del “frate questuante” che neppure i novizi francescani di oggi ricordano più. Un’immagine che è sbiadita col mutare dei tempi e lo stillicidio di vocazioni. Estinti o quasi, i frati “questuanti”, uomini di saio e manualità, per secoli sono stati i pilastri che provvedevano al sostentamento d’intere comunità religiose. Oggi, tutto è cambiato o quasi. L’ultimo di questa categoria, vive nel convento di S.Pancrazio, alle pendici dei Berici, tra Mossano e Barbarano. Un luogo storico per il francescanesimo vicentino, dove i frati sono presenti fin dal 1501, con un’eterogenea comunità che oggi è composta da otto religiosi, dai 30 agli 80 anni. Tra loro da ormai quarant’anni, c’è fra Giuliano Castagna, 76 anni originario della Valle di Chiampo, con un trascorso giovanile come conciatore e agricoltore. È il frate più resiliente di San Pancrazio. Colui che ha visto passare due generazioni di frati, restando fedele alla sua vocazione: fare il sacrestano, il questuante, l’allevatore e il contadino col saio. Un pezzo di storia religiosa. Un tipo di poche parole e molti fatti, che non si ferma in nessun giorno dell’anno: «Per questo mi hanno dato le mani!» risponde lui candidamente. Per questo negli anni è diventato un ponte tra il mondo esterno e quello interno del convento: «Purtroppo sono l’ultimo frate questuante del vicentino» spiega con semplicità fra Giuliano. «La fraternità è una famiglia allargata, e come tale ha bisogno di tutto. Per questo oltre che pregare, ogni giorno c’è molto da fare tra le mura del convento». Il suo personale programma giornaliero varia di poco: sveglia alle quattro del mattino per i servizi prima dell’arrivo dei frati. Poi giù in cortile per nutrire le altre “creature”: polli, oche e due manze gemelle, dono dell’ultima questua. Poi la Messa mattutina delle 7 e via nel campo, orto o bosco per il resto della giornata. A seconda delle stagioni poi, lo aspetta il giro mattutino con il lattaio o in cantina: «Un tempo andavo di casa in casa con la cesta e il furgoncino –racconta il frate questuante-, ma oggi mi sono modernizzato, così da salire direttamente sul camion-cisterna che passa a ritirare il latte nelle varie aziende. Tutti mi conoscono e mi accolgono con amicizia, e dopo qualche chiacchiera, i contadini comunicano al “lataroeo” il quantitativo di latte da destinare a noi frati. Il latte viene portato al Caseificio Sociale di Barbarano e trasformato in formaggio, mettendolo a disposizione dei frati a seconda delle necessità». Lo stesso avviene per l’uva quando arriva nella po di vendemmia: «Qui lascio un quaderno dove i contadini segnano la percentuale di uva destinata alla questua, che verrà trasformata in vino dei frati. Oggi la questua “moderna” si fa così!». «Ma ciò che resta essenziale –precisa fra Giuliano-, è il rapporto che s’instaura con le persone. I frati sono ancora visti come parte della famiglia, così che non c’è nessun bisogno di chiedere, perché la Provvidenza passa sempre con generosità attraverso i nostri benefattori». «Un dono sono anche Blue e Gel, le due manze gemelle che alleviamo nella stalla poco distante dalla chiesa». I più neppure immaginano che nel convento di San Pancrazio, oltre il muro di cinta, vi sia un mondo tanto naturale, fatto di orto, giardino e animali. “Paradiso” dell’ultimo questuante vicentino con il cordone e saio. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Antonio Gregolin

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