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«Ho successo perché comando solo io»

Romano Aleardi, 75 anni, è a capo del gruppo Saf della Val Liona
Romano Aleardi, 75 anni, è a capo del gruppo Saf della Val Liona
Romano Aleardi, 75 anni, è a capo del gruppo Saf della Val Liona
Romano Aleardi, 75 anni, è a capo del gruppo Saf della Val Liona

Eugenio Marzotto Più che un capitano d’azienda, Romano Aleardi, resta il prototipo del paron, che tutto sa prevedere e che a tutto provvede. Lo fa da 50 anni, da quando ha iniziato a fare l’imprenditore in una ex stalla a Montecchio Maggiore adibita ad officina. Era il primo maggio del ’68, in Francia gli studenti organizzavano la rivolta contro lo Stato e nel mondo si manifestava contro la guerra e per i diritti civili. Lui invece era lì con flessibile e saldatrice insieme al fratello Giovanni a costruire pezzi per la Peripoli e la Fiamm. AL TORNIO. «Ho iniziato a lavorare quando avevo 10 anni e undici mesi, poi mi sono diplomato alle scuole serali ma quello che volevo fare era avere una ditta tutta mia». Figlio di un ex minatore di Marcinelle, Aleardi è andato oltre, quattro aziende tutte s.p.a. e tutte comandate da lui, un gruppo che fornisce al mondo prodotti diversificati di minuteria, lavorando rame e acciaio con meccanica di alta precisione. Trecento dipendenti e decine di milioni di fatturato. Il cuore è la Saf di Val Liona, al centro dei Berici dove ogni giorno decine di camion sfidano tornanti e stradine per arrivare nell’azienda più importante per dimensioni della zona. I PREMI AZIENDALI. «Ai miei collaboratori ci penso io e se c’è da premiarli lo faccio io. I sindacati hanno tentato ad entrare in azienda, ma hanno subito desistito... Qui si sta bene e ai premi di risultato ci penso io, l’importante è che i lavoratori sentano l’azienda loro». Romano, 75 anni, è fatto così, diretto come un razzo, nei rapporti o è bianco o è nero, niente sfumature. «Il mio un grande gruppo? Ma no, è una “bottega”, si compra e si vende. Ho avuto la fortuna di avere accanto collaboratori straordinari e di trovare persone competenti. Ma la cosa importante è che decida una persona sola, anche quando sbaglia». Non sbagliò quando alla fine del 2010 ritirò i capitali dalla BpVi: «Qualcosa non mi quadrava, avevo capito che c’era il trucco e mi tutelai». O quando virò sul mercato internazionale alla fine degli anni Ottanta. «Fu la svolta perché il 90% del nostro mercato era italiano, ma intuimmo tutti che il futuro erano i mercati mondiali e questo ci costrinse a riorganizzarci. Prima di tutto cercando il rapporto diretto con i clienti e saltando i commerciali. Serviva un rapporto tra tecnici, nostri e quelli dei clienti e piano piano ci fu la svolta e l’incremento del fatturato». Un dato su tutti è legato all’utilizzo del rame, alla Saf di Va Liona, circa 25 mila quintali al mese vengono utilizzati per la lavorazione. Ma il nome di Aleardi è legato in modo indissolubile al mondo del calcio. Il presidente del Montecchio (dal vivaio (sono usciti giocatori come Maggio del Napoli, Lazzari della Spal e Clemenza dell’Ascoli), resta il patron assoluto, nell’organizzazione e gestione della società che dentro lo stadio Cosaro costa centinaia di migliaia di euro. «Ma noi abbiamo un ruolo sociale, abbiamo un settore giovanile con quasi trecento ragazzi, il calcio per loro è tutto e abbiamo delle responsabilità nei loro confronti. Ora siamo in una fase di cambiamenti, lentamente passerò il testimone, ma anche in questo caso l’ultima parola la devo avere io». IL SOGNO SFIORATO. Il sogno svanito però si chiama Lane, come Lanerossi Vicenza, una società che Aleardi insieme ad un gruppo di imprenditori tra i quali Diquigiovanni ed Etenli, stava per acquistare prima del blitz degli inglesi di Stellican che si aggiudicarono il Vicenza con una valigetta piena di 22 miliardi di lire depositati all’asta indetta dal tribunale di Milano. Era il giugno del 1997. «Un’operazione su cui ancora adesso nutro dei dubbi, mi resta ancora l’amaro in bocca perché eravamo pronti a comprare noi. Adesso spero solo che chi acquisterà il Vicenza all’asta di maggio, faccia piazza pulita. Serve trasparenza non l’arrivo di faccendieri. Migliaia di tifosi meritano rispetto». Un obiettivo nei 50 anni della sua azienda però ce l’ha. «Entro l’anno voglio assumere 50 persone». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Eugenio Marzotto

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