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Al “Borsa” fra spritz e mercati azionari

Una foto storica del caffè Borsa ai tempi in cui era intitolato al Re Vittorio Emanuele I. Dall’abbigliamento dei clienti si può capire che il locale era frequentato dai notabili della città. ZONINUn altro scatto d’epoca dove si può vedere l’esterno del caffè con i tavoli disposti su tre fileL’interno del locale nei primi anni del ’900. Sullo sfondo tre clienti attendono di essere servitiIl caffè Borsa negli anni ’70. Attualmente il locale è chiuso ed è in degrado in attesa di riqualificazione
Una foto storica del caffè Borsa ai tempi in cui era intitolato al Re Vittorio Emanuele I. Dall’abbigliamento dei clienti si può capire che il locale era frequentato dai notabili della città. ZONINUn altro scatto d’epoca dove si può vedere l’esterno del caffè con i tavoli disposti su tre fileL’interno del locale nei primi anni del ’900. Sullo sfondo tre clienti attendono di essere servitiIl caffè Borsa negli anni ’70. Attualmente il locale è chiuso ed è in degrado in attesa di riqualificazione
Una foto storica del caffè Borsa ai tempi in cui era intitolato al Re Vittorio Emanuele I. Dall’abbigliamento dei clienti si può capire che il locale era frequentato dai notabili della città. ZONINUn altro scatto d’epoca dove si può vedere l’esterno del caffè con i tavoli disposti su tre fileL’interno del locale nei primi anni del ’900. Sullo sfondo tre clienti attendono di essere servitiIl caffè Borsa negli anni ’70. Attualmente il locale è chiuso ed è in degrado in attesa di riqualificazione
Una foto storica del caffè Borsa ai tempi in cui era intitolato al Re Vittorio Emanuele I. Dall’abbigliamento dei clienti si può capire che il locale era frequentato dai notabili della città. ZONINUn altro scatto d’epoca dove si può vedere l’esterno del caffè con i tavoli disposti su tre fileL’interno del locale nei primi anni del ’900. Sullo sfondo tre clienti attendono di essere servitiIl caffè Borsa negli anni ’70. Attualmente il locale è chiuso ed è in degrado in attesa di riqualificazione

A 13 anni dalla chiusura, il Caffè Borsa è ancora lì, con le sue serrande arrugginite tristemente affacciate su piazza Garibaldi. Doveva essere uno stop provvisorio, giusto il tempo di indire un bando e assegnare i lavori e poi il più importante locale pubblico della città, ospitato in uno storico edificio di proprietà comunale, sarebbe tornato a splendere come una volta. Invece sono passati gli anni, si sono avvicendati i sindaci e niente è cambiato, per il disappunto dei leoniceni che si vedono privati del loro punto di ritrovo preferito. Ma com’era il Borsa di una volta? In molti ricordano lo stato di degrado in cui versava il locale negli ultimi anni di attività, affollato da una clientela di “foresti” e molto poco accogliente. Altri, più avanti negli anni, rimpiangono le gestioni degli anni Settanta e Ottanta, quando il Borsa manteneva ancora la sua aura di locale di classe. Per mandare ancora più indietro la “macchina del tempo” è necessario risalire ai primi anni del Novecento, quando il Comune decise di adibire a locale pubblico il pian terreno del palazzo del Popolo, fino ad allora usato come magazzino. Il nuovo bar, intitolato a Vittorio Emanuele Primo e arredato nello stile liberty che andava di moda allora, incontrò immediatamente il gradimento dei leoniceni e nel corso del tempo consolidò il suo successo. Dopo la fine della seconda guerra mondiale fu sottoposto a un profondo restauro e, nel 1951, riaprì i battenti come Caffè Borsa, prendendo il nome dall’attività di compra vendita dei prodotti agricoli che si cominciò a svolgere al suo interno. Il gestore di quegli anni così memorabili per il Borsa fu Antonio Zorzi, un uomo di stampo ottocentesco, sempre vestito elegantemente ed esigentissimo con i camerieri in giacca bianca e farfallina che sgambettavano veloci nel locale. Si devono al suo estro di imprenditore alcune novità che fecero subito presa nella clientela, come il gelato ricoperto da cioccolato fondente (antenato del “Mottarello” che venne lanciato anni dopo dalla Motta) e lo spritz macchiato di bitter “americano”. Giova ricordare che a quei tempi – e per molti anni in seguito – con il nome di spritz veniva ovunque indicato il calice di vino allungato con acqua. L’avvento del colore segnò una novità tutta leonicena, ben prima che Aperol e Campari saturassero il mercato degli aperitivi. Se si ordinava un caffè al tavolo, arrivava a tempo di record un cameriere con vassoio, salvietta e bicchiere d’acqua. Un espresso costava 35 lire e servivano 5 grammi e mezzo di polvere per prepararlo. Per avere un’idea dell’andamento del locale basta dire che il bar di Zorzi consumava ogni settimana circa 80 chili di caffè. Diversamente da quanto accade oggi, erano pochi i clienti che al Borsa ordinavano un calice di vino. Le bevande preferite, oltre al caffè e allo spritz, erano la cioccolata, il frappè e la birra, quest’ultima spinata da monumentali fusti di legno. Clienti fissi del locale erano i signori più in vista della città. Il ricco possidente terriero Farina, il pretore Joseffi, il commerciante Soso, l’ingegner Cavallaro (fondatore della scuola professionale a lui dedicata e ancora in attività), il geometra Franzoi, gli industriali Schiannini, Pedone e Pozzani. Fu questo gruppo di notabili a chiedere a Zorzi di riservare loro un tavolo al quale poter accedere ogni giorno senza fastidiose attese. Lui non se la sentì di porre in atto una misura dal sapore così aristocratico ma si premurò di portare al loro tavolino di un abat-jour dalla luce soffusa, per rendere così più rilassante la sosta al caffè. Rarissime erano le signore che varcavano la soglia del bar, con unica eccezione alla domenica mattina, all’uscita dall’ultima messa (quella detta “dei siori” perché solo i più ricchi potevano permettersi la cameriera che preparava il pranzo). In quell’occasione la rara clientela femminile si accomodava a un tavolino appartato e si degnava di salutare con un sorriso i clienti più anziani che si avvicinavano per il baciamano. Al suo nome, il Borsa faceva onore ospitando ogni giorno gli operatori di banca che alle 13 si collegavano via radio con Cambital, il mercato delle valute. I mediatori di granaglie, puntuali al lunedì e al venerdì, avevano libero accesso a una stanza del bar attrezzata con dei contenitori nei quali i contadini mettevano in mostra le loro sementi. Tutto era rigorosamente controllato da Zorzi. Alla sera i camerieri portavano le sedie e i tavoli del plateatico estivo al riparo in magazzino e, all’interno, si passava il pavimento con olio bruciato e segatura. Due volte alla settimana tutto il locale veniva pulito con la candeggina e nei bagni del Borsa la carta igienica arrivò molto prima che nelle case di molti leoniceni. Altri tempi, altre abitudini, altra gente. Chissà cosa diventerà il Borsa quando un giorno o l’altro – non abbiamo ancora perso la speranza – questo luogo dal passato così glorioso verrà restituito alla città. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Lino Zonin

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