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Scappò con il figlio in Brasile

IL PRECEDENTE. Il padre, di Arzignano, tenne con sé il bambino per due anni in Sudamerica. Fu catturato dai carabinieri
L'intera famiglia è ora a processo per quel sequestro ricostruito in aula. Il tribunale dovrebbe pronunciarsi alla fine di maggio

 Il brigadiere Fabrizio Cannata nell'estate 2005 al rientro dal Brasile
Il brigadiere Fabrizio Cannata nell'estate 2005 al rientro dal Brasile

 Il brigadiere Fabrizio Cannata nell'estate 2005 al rientro dal Brasile
Il brigadiere Fabrizio Cannata nell'estate 2005 al rientro dal Brasile

La collaborazione fra i carabinieri della procura di Vicenza e l'Interpol aveva dato frutti anche in passato. Era l'agosto del 2005 quando il brigadiere Fabrizio Cannata, al termine di una lunga e complessa indagine, arrivò in Brasile e fece irruzione in un'abitazione dove viveva Enrico Chilese per arrestarlo. In quell'occasione fu liberato anche suo figlio, che il padre aveva rapito e tratteneva con sè da quasi due anni.
La vicenda della famiglia Chilese fece molto rumore all'epoca, al pari di altre storie analoghe di bambini portati all'estero dai genitori per farli sparire nel nulla. Di casi del genere ce ne sono ancora parecchi, e non tutti sono arrivati a soluzione, ma la storia di Chilese dimostrò che era possibile riuscire ad arrivare a capo di problemi all'apparenza senza soluzione.
Per due anni il piccolo fu costretto - ricostruisce oggi la procura vicentina - a restare in Brasile con il padre, lontano dalla mamma, senza poter andare a scuola, farsi degli amici, condurre una vita normale, chiuso in casa quando il papà andava al bar a divertirsi. Enrico avrebbe rapito il figlioletto, con un sequestro di persona che valse al vicentino un mandato di cattura internazionale sollecitato dal pubblico ministero Paolo Pecori. Chilese trascorse quasi due anni in carcere in Brasile prima di essere estradato e patteggiare una prima volta in tribunale 11 mesi di reclusione (condonati) per la sottrazione del figlio. La madre del piccolo, Arianna Manca, non poteva stare con il bimbo. La donna cercò in tutti i modi di smuovere le autorità spiegando che non riusciva più ad avere nessun contatto con suo figlio, e che il padre era scappato con lui.
Ma per vivere all'estero Chilese, secondo gli inquirenti, avrebbe beneficiato dell'aiuto dei parenti, poi accusati del concorso in rapimento. Secondo la procura Chilese avrebbe pianificato la fuga con i genitori, che lo avrebbero aiutato in vari modi con gli altri parenti: chi mandando fax e ricevendo telefonate, chi ricaricandogli le carte di credito (per circa 16 mila euro). La difesa dei parenti sostiene invece che questi ultimi non sapevano che stavano commettendo un reato. Chilese, invece, spiega oggi che aveva paura che accadesse qualcosa al bambino, per questo lo tenne in Brasile.
Tutta la famiglia è ora a processo in tribunale. Il pubblico ministero Claudia Dal Martello contesta a tutti il concorso. Si tratta, oltre che Enrico Chilese, 42 anni, di Arzignano, via Monte Adamello 3, dei genitori Armando e Maria Priante, di 70 e 66 anni, della zia Anna Maria Chilese di 72, e con loro del cittadino marocchino Abdelaziz Ait Lamkadem, di 32 anni, Salizzole (Verona). Sono tutti assistiti in tribunale dall'avv. Francesco Barilà. Il giudice Massimo Gerace dovrebbe leggere la sentenza il prossimo 23 maggio.

Diego Neri

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